2006 - 2010
Sei Personaggi in cerca d’autore / Sześć postaci szuka autora

di Luigi Pirandello

Teatr Nowy di Poznań (Polonia)

con: Malwina Irek, Grażyna Korin, Małgorzata Łodej, Magdalena Planeta, Daniela Popławska, Paweł Binkowski, Zbigniew Grochal, Andrzej Łajborek, Cezary Łukasiewicz, Przemysław Pankowski
regia: Sergio Maifredi
musica: Jerzy Satanowski
scene: Marta Roszkopf
debutto: 1 dicembre 2006

È il 21 Febbraio, sono a Rovigo per le prove de Il Maestro di Scuola di Telemann; al Teatro della Tosse debutta Faust del Teatr Nowy di Poznań con la regia di Janusz Wiśniewski. Sento che devo tornare a Genova, non so come, visto che sto provando, ma devo tornare. Anticipo l’orario delle prove a Rovigo, alle 17.00 parto, arrivo a Genova che lo spettacolo sta per iniziare, alle 21, dopo 500 km di corsa. Rivedo Faust: un successo anche in Italia. Anni dopo lo richiamerò, nella mia prima stagione da direttore al Teatro Curci di Barletta. Vado a cena con Janusz e i suoi attori. Parliamo fino a notte fonda e Janusz mi dice che devo andare a Poznań, a dirigere uno spettacolo nel suo teatro.
Che testo vuoi fare? Mi chiede. Sei personaggi, rispondo sicuro. Bardzo dobre, molto bene dice Janusz. È una promessa.
Sentivo che dovevo venire e ora so il perché. Riparto nella notte verso Rovigo, alle 9.00 sono in teatro. Non dormo ma sono felice.

Le prove di Sei Personaggi in cerca d’Autore iniziano ad agosto. Una sostanziale incoscienza mi permette di affrontare il lavoro con gli attori del Teatr Nowy.
Ricordo lo stupore del direttore Wiśniewski nel vedermi tranquillo nel suo studio prima dell’inizio delle prove.
Dirigere Pirandello in polacco non conoscendo una parola di polacco può sembrare un’impresa folle. In realtà mi guida l’assoluta certezza che il teatro si capisca al di là delle parole. Mi guidano i tanti spettacoli che ho visto in ogni parte del mondo senza capire una parola eppure partecipando profondamente al dramma davanti ai miei occhi. Ma è solo un’intuizione. Tutto può arenarsi nella fatica di tradurre ogni parola dall’italiano al polacco e viceversa.
La compagnia è schierata attorno al tavolo per la lettura del copione. Janusz Wiśniewski tiene il discorso di saluto e ci da la sua benedizione. Ora tocca a me. Attacco in inglese. Comincia un bisbiglio tra gli attori. Alcuni capiscono bene e traducono per gli altri. Non può funzionare. La compagnia deve muoversi all’unisono. Mi affido all’interprete. Parlo, traduce, parlo, traduce. Gli attori chiedono – Mam pytanie, ho una domanda! – e lei traduce. Rispondo e lei traduce.
Daniela, l’attrice che avrebbe interpretato la Madre, si spazientisce. Dopo due giorni, l’interprete sparisce. Viene sostituita da Sabina Sędecka. Sabina ha studiato a Pisa. Il suo italiano è perfetto, solo un lieve accento. Sabina traduce sostanzialmente in simultanea. C’è giusto un leggero ritardo che diviene per me un tempo prezioso. In quel ritardo il cervello frulla per cercare la parola più semplice, più chiara, meno equivocabile; il cervello lavora a semplificare il pensiero. I discorsi intellettuali si frangono contro quel muro da scavalcare: proszę Państwa zaczynamy; signori cominciamo, rozumiem, capisco, jeszcze raz, ancora una volta.
Le cose sembrano funzionare. La Compagnia inizia a intuire la forza di Pirandello e si fa più compatta, più forte.
Finisce il primo periodo di prove. Finisce l’estate. Qui si prova per tre mesi. Il primo mese, da metà agosto a metà settembre è andato. Rientro in Italia. Il secondo periodo di prove inizierà a novembre.
A Genova intanto, dopo dodici anni insieme, inizia ad apparirmi chiaro che il mio tempo al Teatro della Tosse sta finendo. Tonino mi chiede di fermarmi, di non ripartire per la Polonia. So quello che mi sto giocando, ma dico no, non posso non ritornare su, i “miei” attori mi aspettano. Mi aspetta soprattutto qualcosa che sento sta arrivando, che non so definire. A Poznań mi sento a casa, non sogno un ritorno.
Parto. È novembre. La mia stanza profuma di legno. E sotto, al ristorante del teatro, mi aspettano gli attori per festeggiare. Vodka. E spremuta d’arancio. Un bicchiere di vodka e uno di arancio.
Na zdrowie! Salute! Impossibile rifiutare. Cado nel tranello. La partita la sto giocando a digiuno, nessuna possibilità di salvezza. Alla sesta vodka crollo. Un’intera notte e un intero giorno sdraiato a letto non risolvono quasi nulla. Sono a pezzi.
Alle 18.00 inizia la prova. Mi tiro su. Sudando, tremando affronto le quattro ore di lavoro serale. Saranno mesi faticosi. Non capisco ancora i tempi polacchi, magicamente identici alle usanze del nostro migliore Sud che però, a quel tempo, non conosco. Tutto è powoli powoli, piano piano. Per ogni richiesta c’è tempo, jutro, domani. Un giorno perdo la pazienza e urlo: Jutro è la prima parola che ho imparato in Polonia, basta jutro!. Mi pento profondamente per quella frase. Ancora oggi. Se sono sopravvissuto lo devo a Janusz Wiśniewski, il direttore del Nowy Teatr che, da maestro, da collega più adulto, ha saputo perdonare e mi ha insegnato quel tempo dilatato che è poi il tempo della creazione artistica, è il tempo del thè, herbata, qui in Polonia, il tempo di un espressino giù nel mio Sud adorato.
Ritorno in Italia giusto in tempo per mettere in valigia le cose più care che ho nel mio ufficio e lasciare il Teatro della Tosse. La Polonia archivia, riassume e assume dodici anni di lavoro.

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